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03 luglio 2006

Stringiamci a coorte...

...siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, Italia chiamò!! Coorte e non "corte"...

Con la riforma di Mario l'esercito romano venne ordinato per Coorti (dal latino cohors cohortis) abbandonando la tradizionale formazione del manipolo che era stata adottata nel corso delle guerre sannitiche.

In realtà l'introduzione - da parte di Mario - della coorte come suddivisione operativa dell'esercito è stata un recepimento di tentativi ed esperimenti precedenti. Già prima della sua riforma altri comandanti ne avevano provato l'utilità (come Scipione l'Africano).

Mentre il manipolo era una suddivisione tattica che permetteva una maggiore agilità su terreni erti e diseguali, quali appunto le colline del Sannio, la coorte aggiungeva potenza e compattezza, più adatte alle battaglie campali che venivano sempre più spesso affrontate dall'esercito romano.

Dal punto di vista tecnico, il punto principale della riforma fu la creazione di un'unità tattica più numerosa e serrata del manipolo, formata da 600 uomini(quindi dall'unione di 3 manipoli), formata da legionari provenienti dalle vecchie unità di Astati, Principi e Triari.

La legione venne quindi divisa in 10 coorti, numerate da I a X percui gli effetti salirono a circa 6000 legionari (detti anche coortalii). In seguito il numero di soldati della legione scese a circa 5000 uomini. La prima coorte di ogni legione fu costituita da un numero doppio di soldati (1000) e per questo la coorte fù chiamata cohors millenaria mentre le altre coorti venivano chiamate quingenariae.

Gli effettivi della legione coortale furono così costituiti solo da fanteria pesante. I velites furono aboliti e le truppe leggere furono sostituite dagli auxilia (ausiliari), soldati reclutati nelle province romane conquistate mentre i confederati italici fornivano la cavalleria.

Viva l'Italia!!

4 Comments:

At martedì, 04 luglio, 2006, Anonymous Anonimo said...

Goffredo Mameli? Chi é costui?

Il poeta
Goffredo Mameli dei Mannelli nasce a Genova il 5 settembre 1827. Studente e poeta precocissimo, di sentimenti liberali e repubblicani, aderisce al mazzinianesimo nel 1847, l'anno in cui partecipa attivamente alle grandi manifestazioni genovesi per le riforme e compone Il Canto degli Italiani. D'ora in poi, la vita del poeta-soldato sarà dedicata interamente alla causa italiana: nel marzo del 1848, a capo di 300 volontari, raggiunge Milano insorta, per poi combattere gli Austriaci sul Mincio col grado di capitano dei bersaglieri. Dopo l'armistizio Salasco, torna a Genova, collabora con Garibaldi e, in novembre, raggiunge Roma dove, il 9 febbraio 1849, viene proclamata la Repubblica. Nonostante la febbre, è sempre in prima linea nella difesa della città assediata dai Francesi: il 3 giugno è ferito alla gamba sinistra, che dovrà essere amputata per la sopraggiunta cancrena. Muore d'infezione il 6 luglio, alle sette e mezza del mattino, a soli ventidue anni.
Le sue spoglie riposano nel Mausoleo Ossario del Gianicolo


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Se una figura umana dovesse simboleggiare con l'aspetto d'una seducente giovinezza il Risorgimento d'Italia, che pure ebbe stupendi uomini rappresentativi - Mazzini, Cavour, Garibaldi non si saprebbe quale innalzare e amare meglio che quella di Goffredo Mameli, poeta a quindici anni, guerriero a ventuno, avvolto a ventidue nella morte come nella nuvola luminosa in cui gli antichi favoleggiavano la scomparsa degli eroi.
Stirpe di marinai soldati, figlio d'un comandante di nave da guerra e d'una leggiadra donna che aveva fatto palpitare il cuore giovane di Giuseppe Mazzini, Goffredo è il romanticismo, è il patriottismo, è sopra tutto la poesia che fiorisce sull'azione. Frequenta l'università, prepara i suoi esami di diritto e intanto fiammeggia nel fuoco d'italianità de' suoi compagni, che lo sentono un capo.
Appena giunta a Genova la notizia delle Cinque Giornate parte alla testa d'un manipolo di giovani, si batte nella campagna del '48; s'agita perché non se ne subiscano con rassegnazione le tristi conseguenze militari, mazziniano puro, con la sua Genova impaziente e intollerante verso la Torino monarchica.
E' incerto se correre a Venezia o a Roma.
Si risolve per Roma.
E' di Mameli il telegramma "Venite, Roma, repubblica" in cui si invitava Mazzini a raggiungere la Repubblica Romana.
E' a fianco di Garibaldi, ma vuole prima di tutto trovarsi dove più rischiosamente si combatte.
Ferito a una gamba il 3 giugno in un combattimento nel quale s'era voluto gettare a ogni costo, fu male assistito nell'ospedale dai medici che avrebbero dovuto sollecitamente amputargli la parte offesa e invece tanto tardarono che poi l'operazione non valse più a salvarlo, ed egli spirò il 6 luglio, un mese prima di compiere i ventidue anni, recitando versi in delirio.


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La sua poesia è poesia d'amore e di guerra: pensando a guerre come quelle, i due più alti temi d'ogni poesia, la donna ideale e la libertà pura.
I critici, naturalmente, rilevano le imperfezioni artistiche che non mancano.
Ma per quel che v'è, ed è tanto, di vivo e di bello in promessa anche più che in fatto si può dire che, se fosse vissuto, l'Italia avrebbe avuto in lui un magnifico poeta.
Qui si riproducono, naturalmente, il canto indimenticabile Fratelli d'Italia che fu messo in musica del maestro Novaro e che la Repubblica Italiana d'un secolo dopo ha ripreso come inno nazionale nonostante l'elmo di Scipio e la Vittoria schiava di Roma.

 
At martedì, 04 luglio, 2006, Anonymous Anonimo said...

Le parole dell'Inno.... per chi non le conoscesse....

Fratelli d'Italia, l'Italia s'è desta, dell'elmo di Scipio s'è cinta la testa. Dov'è la vittoria? Le porga la chioma, che schiava di Roma Iddio la creò.

Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l'Italia chiamò. Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l'Italia chiamò, sì!

Noi fummo da secoli calpesti, derisi, perché non siam popoli, perché siam divisi. Raccolgaci un'unica bandiera, una speme: di fonderci insieme già l'ora suonò.

Uniamoci, uniamoci, l'unione e l'amore rivelano ai popoli le vie del Signore. Giuriamo far libero il suolo natio: uniti, per Dio, chi vincer ci può?

 
At martedì, 04 luglio, 2006, Anonymous Anonimo said...

Il significato dell'Inno...

Fratelli d'Italia / L'Italia s'è desta / Dell'elmo di Scipio / S'è cinta la testa (1) /
Dov'è la vittoria? / Le porga la chioma (2) / Che schiava di Roma / Iddio la creò.
Stringiamoci a coorte (3)/ Siam pronti alla morte, / Siam pronti alla morte (4)/ Italia chiamò
Noi fummo da secoli (4a) / Calpesti e derisi, / Perchè non siam popolo, / Perchè siam divisi. / Raccolgaci un' unica bandiera, / Una speme, /Di fonderci insieme / Già l'ora suonò.
Uniamoci, uniamoci / L'unione e l'amore / Rivelano ai popoli / Le vie del Signore (5) /
Giuriamo far libero / Il suolo natio / Uniti per Dio (6)/ Chi vincer ci può?
Dall'Alpe a Sicilia / Dovunque è Legnano (7), / Ogn'uomo di Ferruccio (8)/ Ha il cuore e la mano, /
I bimbi d'Italia / Si chiaman Balilla (9)/ Il suon d'ogni squilla / I vespri suonò (10).
Son giunchi, che piegano, / Le spade vendute (11). / Già l'aquila d'Austria (12) / Le penne ha perdute /
Il sangue d'Italia / Bevé col cosacco / Il sangue polacco (13) / Ma il cor lo bruciò.



(1) La cultura di Mameli è classica ed è forte in lui il richiamo alla romanità. L'Italia, ormai pronta alla guerra contro l'Austria, si cinge la testa, in senso figurato, (s'è cinta la testa) con l'elmo dell'eroico generale romano Publio Cornelio Scipione, detto poi l'Africano, (Scipio) che nel 202 a.C. sconfisse il generale cartaginese Annibale nella famosa battaglia di Zama (nella attuale Algeria), riscattando così la precedente sconfitta di Canne e concludendo la seconda guerra punica. Dopo la disfatta, Cartagine sottoscrisse il trattato di pace con Roma per evitare la totale distruzione.
(2) Qui il poeta si riferisce all'uso antico di tagliare le chiome alle schiave per distinguerle dalle donne libere che portavano invece i capelli lunghi. Dunque la Vittoria deve porgere la chiome perché le venga tagliata quale schiava di Roma sempre vittoriosa.
(3) La coorte, cohors, era un'unità da combattimento dell'esercito romano, decima parte di una legione; nulla a che vedere con la corte.
(4) Qui a tutti tremano le vene dei polsi, altri fanno scongiuri, ma vale la pena ricordare che l'autore fu coerente con le sue parole.
(4a) Mameli sottolinea il fatto che l'Italia non è unita. All'epoca infatti (1848) era ancora divisa in sette Stati.
(5) A dire la verità si potrebbe intravedere in questi versi un sentimento democristiano ante litteram, ma è nota la religiosità di Mazzini, spesso deriso per questo da Marx con il nomignolo di Teopompo.
(6) Il verso "Uniti per Dio" in alcune versioni appare come "Uniti con Dio", per non essere confusa con l'espressione popolare e quasi blasfema "per Dio" ancora oggi in uso nel linguaggio popolare italiano. Nel poema però il verso è derivato da un francesismo che significava "da Dio" o "attraverso Dio".
(7) Ossia la battaglia in cui i comuni italiani uniti in lega e guidati da Alberto da Giussano batterono il Barbarossa. E qui va detto che Bossi ha toppato scegliendo un eroe che combatte contro i tedeschi, alleato con il Papa di Roma e non viceversa. Ma si sa che la storia non è il suo forte.
(8) In questa strofa, Mameli ripercorre sei secoli di lotta contro il dominio straniero. Anzitutto, la battaglia di Legnano del 1176, in cui la Lega Lombarda sconfisse Barbarossa (ovunque è Legnano). Poi, l'estrema difesa della Repubblica di Firenze, assediata dall'esercito imperiale di Carlo V nel 1530, di cui fu simbolo il commissario generale di guerra della Repubblica fiorentina, Francesco Ferrucci (ogn'uom di Ferruccio ha il cor e la mano). Dieci giorni prima della capitolazione di Firenze (2 agosto) egli aveva sconfitto le truppe nemiche a Gavinana. In Firenze fu ferito, catturato ed ucciso da Fabrizio Maramaldo (capitano dell'esercito imperiale), un italiano al soldo dello straniero, al quale rivolge le parole d'infamia divenute celebri "Tu uccidi un uomo morto".
(9) I "Fascisti" non rientrano nell'affermazione, in quanto "Balilla" è il soprannome di Giambattista Perasso, il ragazzo genovese che con il lancio di una pietra diede inizio alla rivolta popolare di Genova contro gli austro piemontesi il 5 dicembre 1746 .
(10) Si tratta dei Vespri siciliani, rivolta (1282) degli isolani contro i francesi, che poi per stanarli gli facevano vedere dei ceci e gli chiedevano: cosa sono questi? E loro, non sapendo pronunciare la "c" dolce, dicevano "sesi", e i siciliani giù botte!
(11) Le truppe mercenarie di occupazione.
(12) L'aquila bicipite, simbolo degli Asburgo.
(12) - (13) L'Austria era in declino (le spade vendute sono le truppe mercenarie, deboli come giunchi) e Mameli lo sottolinea fortemente: questa strofa, infatti, fu in origine censurata dal governo piemontese. Insieme con la Russia (il cosacco), l'Austria aveva crudelmente smembrato la Polonia. Ma il sangue dei due popoli oppressi si fa veleno, che dilania il cuore della nera aquila d'Asburgo.

 
At venerdì, 21 luglio, 2006, Anonymous Anonimo said...

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